Non dire che sei social, fallo!

Sarà perché La Stampa è il giornale della mia città, sarà perché ormai leggo tutto con gli occhiali, sarà perché sono sul treno e ho un po’ di tempo, ma non mi va giù questo pezzo. E gli faccio le pulci.

La cosa peggiore di tutte è che annuncia quanto La Stampa diventi ancora più social e lo fa con un linguaggio che è a metà fra una piattaforma programmatica sindacale e una comunicazione fatta nel più standard del burocratese.
L’attacco dell’articolo è costituito da una subordinata: “Nel nostro Paese, seppure la penetrazione di Internet resti tra […]”.

E poi, via via, ecco un inanellarsi di frasi di questo tipo:

Stiamo implementando. è in questo quadro che “La Stampa” ha deciso … Ai propri 285 mila followers […] ora proponiamo un nuovo approccio (mega anacoluto!); Per dare un’informazione ancora più pluralista e dare un servizio alle persone che ci seguono su Twitter; è solo una delle tante iniziative che stiamo implementando…; In tal senso è da intendersi anche l’aumento della frequenza delle risposte alle istanze dei lettori; A questo scopo è stato redatto; Linee guida […] che sono una netiquette che faccia da base comune per un confronto costruttivo.

Scrivi così e poi, santo cielo, affermi “cercando di comunicare da pari a pari con i lettori, a partire dal linguaggio: meno ingessato, più colloquiale, per cercare di instaurare un vero dialogo, una vera relazione”?

Detto tra parentesi: queste cose non andrebbero annunciate, andrebbero messe in pratica zitti zitti, lavorando sodo per sciogliersi nei pensieri, prima ancora che nelle parole scritte.

“Come sempre avviene nella società civile, affinché il dialogo sia tale ci si deve dotare di un codice di comportamento condiviso”.

Ma sentite che effetto fa?

Show, don’t tell!!

Scritto da Annamaria Anelli

Sono una business writer e aiuto le aziende a prendersi cura dei propri clienti, con la scrittura

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