Lo “scoraggiatore militante”

Lo “scoraggiatore militante” è una magnifica espressione che ho sentito usare da Franco Arminio (poeta e paesologo) a proposito delle dinamiche di paese, inteso proprio come piccolo centro, con la “p” minuscola.

Il paese resiste sempre a chi scalpita, vuole uscire, se ne vuole andare nel mondo a fare cose grandi. È una resistenza che si manifesta attraverso un invito alla lentezza, alla prudenza, alla sobrietà, non è cattiva. Lo scoraggiatore militante, invece, è il paesano animoso: un meschino fallito che si adopera per far fallire la vita altrui. Quante persone, soprattutto giovani con sogni e speranze, vengono sconfitti da questo atteggiamento, da questo conflitto che non si vede ma c’è, dice Arminio.

Io lo trovo un concetto davvero illuminante, applicabile alla perfezione anche ai nostri contesti lavorativi.

Quando lavoravo per una grande azienda automobilistica diversamente torinese, come la chiamo con affetto, nel mio team ce n’era una, di scoraggiatrice militante. Badate, lei non era un’arma di distruzione di massa, ma una guastatrice. Sottraeva ogni giorno qualche etto di fiducia al bersaglio designato che, sfinito, dopo più o meno tempo, puf, spariva.

«Avete visto tizia?», chiedeva qualcuno. «Non c’è più», rispondeva lei. Io non lavoravo nel suo gruppo, quindi non aveva potere su di me, ma assistevo a certe telefonate o a certe riunioni con i brividi addosso.

Dopo di lei non ho più incontrato persone così e ho imparato a riconoscere molto presto gli “scoraggiatori militanti”: dalle parole che usano.

Ci sono due categorie. Quella del “Ma” all’inizio della frase, e quella del “Comunque grazie” alla fine. Vediamo se li avete presente anche voi.

Ma

Il “Ma” a inizio frase è una congiunzione che gli studiosi di pragmatica del linguaggio chiamano testuale. Cioè non è una semplice congiunzione coordinativa con valore avversativo che si incastra sintatticamente nella frase: “non le primule blu, ma quelle viola”, ad esempio.

Il “ma” a inizio frase è separato da tutto il resto: esprime l’atteggiamento del parlante nei confronti di quello che sta dicendo o del contesto.

Se scrollate un po’ fra i vostri pensieri lo recuperate: è il “ma” che usate per prendere il vostro turno: «Ma se scriviamo che…». Lo sentite quel “ma”: è un segnale per dire che siete immersi nel discorso e che avete una cosa da dire con urgenza, state cooperando attivamente alla conversazione, insomma. E no, non siete “scoraggiatori militanti” in questo caso.

Altra cosa è il “ma” che adoperate per interrompere qualcuno che sta parlando, del tipo: «Ma non è una soluzione che possiamo mettere in pratica adesso…». In questo caso quel “ma” nasce con altri scopi: serve per rimarcare il dubbio su quanto detto prima, con anche un po’ di giudizio negativo. Quindi, posto così, all’inizio della frase, è un piccolo (o grande) detonatore di frustrazione, per il vostro interlocutore.

Cosa fare per non rientrare nella categoria degli “scoraggiatori militanti”?

Preferire, per esempio, una formula come: «Sì, è anche vero che una soluzione così non possiamo metterla in pratica adesso». Perché cambia tutto? Perché l’atteggiamento di chi parla, con quel “sì” iniziale, è di totale apertura.

Il “sì” mette a suo agio l’interlocutore, per poi restringere un po’ il campo: ”è anche vero che”. Il sottotesto di quell’“anche” è: «sì, concordo, e ciò che hai detto è importante così come la mia considerazione». È un “anche” che unisce, mette le parti sullo stesso piano, senza giudizio.

Comunque grazie

Anche il “comunque”, in questo caso, ha un valore testuale niente male: non è il «comunque sia, compra solo le mele». È, come il “ma” all’inizio della frase, una congiunzione che non congiunge, ma allontana, dal tono conclusivo peggiorato dal “grazie” subito dopo. Si può tradurlo come un: «grazie del tuo aiuto, eh, come non detto»

Di nuovo, come evitare l’atteggiamento da “scoraggiatori militanti”? Rinegoziando la questione, se è possibile: se vi viene da dire o da scrivere “comunque grazie” è perché siete scontenti, a disagio, c’è qualcosa che non va, c’è qualcuno che ha vinto e qualcuno che ha perso. Non è una bella situazione, nel senso che è molto difficile lavorare con serenità.

“Comunque grazie” è come mettere il broncio e decidere di restare nel mutismo fino a che qualcuno decide di darvi retta.

E, credetemi, con due figli in piena adolescenza e per di più in cattività, io ne so qualcosa di bronci e mutismi. E anche di “comunque grazie, eh” 😉

Se non hai voglia di leggere, qui sotto trovi la versione audio.

Lo “scoraggiatore militante” letto da me stessa medesima

Scritto da Annamaria Anelli

Sono una business writer e aiuto le aziende a prendersi cura dei propri clienti, con la scrittura

3 commenti su “Lo “scoraggiatore militante””

  1. Scintillante questo schizzo dello scoraggiatore militante! Da anni, mi sono arruolata nella crociata per la cancellazione del “ma” di esordio, mentre non avevo mai riflettuto sull’effetto del “comunque grazie”. Questo brano mi ha anche fatto venir voglia di riprendere Franco Arminio, che ho letto e accantonato perché…diciamolo chiaro, perché un po’ troppo fuori dai canoni classici! Non riuscivo a ridurlo ai (miei) minimi termini, termini che riflettono, diciamo così, un’impostazione di utilitarismo e chiarezza cartesiana. Diversamente torinese, mi sa. MA questa benemerita impostazione, è sempre quella giusta per esplorare concetti nuovi?

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