Scrivere e tradurre in Svizzera

La scorsa settimana sono stata ospite dell’Amministrazione federale svizzera. Il responsabile della formazione dei traduttori italofoni ogni anno organizza a Bellinzona un seminario di aggiornamento su temi che riguardano scrittura e traduzione. Mi ha chiesto se fossi interessata a condurre un laboratorio sulla scrittura di email e lettere: aveva letto il mio Caro cliente e lo aveva trovato un libro chiaro e felice. Chiaro e felice: ci ho messo il tempo di un battere di ciglia a dire di sì.

L’obiettivo che stava a cuore al mio interlocutore era rivisitare alcuni aspetti dello stile istituzionale in modo che sembrasse meno meccanico e più attento agli aspetti di relazione. Proprio il mio campo, dunque. Mi ha scritto: il problema risiede molte volte nel fatto che il traduttore resta troppo attaccato al testo di partenza adottando strutture e stilemi che in italiano paiono stranianti o superati. Per aiutarmi a capire mi ha spedito alcuni modelli di risposte a cittadini, fornitori, colleghi e personalità. Ogni traduzione italiana era accompagnata dai testi in tedesco e in francese dai quali proveniva. L’italiano, mi ha spiegato, non è mai la lingua di partenza, ma sempre la lingua nella quale si traduce.

Analizzando i testi in italiano ho notato burocratismi, formule rigide e una certa ingessatura della traduzione. Ma è stato nel confronto con i testi in francese che ho potuto notare aspetti interessanti sui calchi (mi ci soffermo tra un po’). Parlo solo dei testi in francese perché io non conosco il tedesco.

Ho proposto dunque di “togliere l’amido” dalla scrittura, cioè di lavorare per rendere la lingua più fluida e semplice (che non vuol dire diventare sciatti, ma leggeri) e per potenziare la parte di relazione (trasformare una comunicazione in un dialogo). In più, ho proposto di affrontare l’elefante nella stanza: elefante anche per me, che traduttrice proprio non sono, ma che una certa esperienza di allenamento con la lingua scritta ce l’ho.

Qual è l’elefante? Scegliere di tradurre come un algoritmo:

  • c’è una lingua di partenza che esprime certi concetti con certi stilemi espressivi, abbastanza ripetitivi (io ho verificato il caso del francese, ma mi hanno confermato che vale anche per il tedesco)
  • c’è una traduzione in una lingua di arrivo – l’italiano – con una corrispondenza di significato 1:1 tra le parole e una riproposizione speculare della struttura sintattica originaria (parliamo di calchi tedesco/italiano e francese/italiano)
  • non c’è – mai o quasi mai – la traduzione delle sfumature, cioè di tutti quegli elementi di psicosociologia del linguaggio che, presenti nella lingua di partenza, dovrebbero essere armonizzati o localizzati nella lingua di arrivo.

Insomma, ogni lingua di partenza porta in dote una certa cultura e un certo sistema di pensiero, oltre a una sua grammatica: con la traduzione bisognerebbe che questi tre elementi si adattassero alla lingua di arrivo. Quando ciò non avviene, la traduzione appare meccanica e straniante.

Se trovate in una traduzione dal tedesco Prego scegliere un appellativo, sentite subito che c’è qualcosa che non va, anche se non sapete il tedesco e quindi non potete fare il confronto con la frase originaria. Prego scegliere un appellativo non vi sembra davvero italiano. Infatti la traduzione appropriata è Selezionare.

Se la frase Si vous êtes intéressés à collaborer au sein de la commission diventa Se siete interessati a collaborare in seno alla commissione, percepite all’istante la meccanicità della traduzione. In italiano sarebbe meglio dire: Se volete far parte della commissione.

Nous vous motivons à vous engager dans le cadre de la commission che diventa Vi motiviamo a ingaggiarvi nell’ambito della commissione dà origine a un calco sintattico e lessicale dall’effetto straniante: i verbi motivare e ingaggiare* hanno in italiano tutto un altro significato! Ci piacerebbe coinvolgervi nella commissione sarebbe una traduzione più adatta.

Se Si vous désirez discuter avec nous in italiano diventa Se desiderate discutere con noi, il calco vi fa storcere il naso: di solito uno non desidera discutere con qualcuno, al limite lo vuole, perché discutere con qualcuno in italiano racchiude una sfumatura di contrasto. Il verbo “desiderare” a fianco del verbo “discutere” è un accostamento che percepiamo come strano e non naturale. In questo caso chi ha tradotto non ha preso in considerazione il contesto della frase in francese dove discuter significava “chiacchierare con”, “parlare con qualcuno di qualcosa”, di sicuro non discutere con.

Nous devons malheureusement vous informer que les Services du Parlement (SP) ne donnent pas suite aux lettres ouvertes – in risposta a un cittadino che scrive – non può diventare Con la presente desideriamo informarla che i Servizi del Parlamento si astengono dal commentare le «lettere aperte». Percepiamo subito la non congruenza di quel burocratismo “Con la presente” così tanto distanziante. Nel testo di origine c’è invece l’avverbio malheureusement – purtroppo – che ha proprio la funzione opposta: di avvicinamento a chi scrive. E che dire di quel si astengono dal commentare? Di nuovo un’espressione che distanzia e raffredda, non presente nel testo originario dove si informa di qualcosa che non può essere cambiato, ma a malincuore.

In conclusione, che bello! 😀 Lavorare sulla parola scritta è per me sempre una sfida, ma lavorare con in più i paletti della traduzione da un’altra lingua mi ha resa molto più attenta agli aspetti extralinguistici che possono cambiare il segno di una comunicazione. E mi sono innamorata** una volta di più del lavoro importantissimo di chi traduce.

foto di Marco Borgna

*[Sul verbo ingaggiare, vi propongo le considerazioni di Luisa Carrada in questo bel post, non perdetevele].

**[Da quando mi ha adottato Artigiani delle parole sono più felice]

Scritto da Annamaria Anelli

Sono una business writer e aiuto le aziende a prendersi cura dei propri clienti, con la scrittura

2 commenti su “Scrivere e tradurre in Svizzera”

  1. Il tuo articolo mi ha fatto sorridere, da amante dei libri e dei film in lingua originale e da persona che, per lavoro, scrive spesso in inglese. La traduzione letterale spesso è una cattiva traduzione. Come dici tu, spesso ignora registri linguistici, specificità culturali e a volte persino i significati stessi delle parole. Nei doppiaggi, dove la cura verso la naturalezza della lingua deve essere un obiettivo, troppo spesso sentiamo espressioni come “buon per te” (traduzione di “good for you”; il cui senso è reso meglio da espressioni come “bene” o “mi fa piacere”) o “cibo spazzatura” (junk food) ormai talmente ripetuto da essere entrato anche nell’uso italiano. Tradurre bene è difficile. Saper cogliere i livelli di significato meno espliciti fa la differenza tra un grande traduttore e uno mediocre.

    Rispondi

Lascia un commento