4 cose che ho imparato di me dopo due settimane di Scuola Holden

Dal 26 aprile al 10 maggio ho fatto la profia alla Scuola Holden: il mio modulo si chiamava Survival Kit e serviva per introdurre i ragazzi in uscita dal biennio di Storytelling & Performing Arts al mondo-dopo-la-Holden.

Il mondo fuori può sembrare l’apocalisse dopo che trascorri due anni a studiare narrazione in ogni sua forma, vai in una scuola bellissima, sei circondato da compagni motivati come te e hai a disposizione insegnanti in gamba, tutor e quant’altro tu possa desiderare.

4 cose che ho imparato di me dopo due settimane di Scuola Holden - Annamaria Anelli

Poi non tutto è come sembra, certo, c’è sempre una buona dose di disillusione e a tutti manca “quel pezzo lì”: sta nell’ordine delle cose. Non ho mai sentito di qualcuno che spenda tanti soldi per fare un’esperienza uscirne completamente soddisfatto. Ognuno cercherà, poi, da sé, la sua strada; prenderà gli stimoli e ne farà ciò che vorrà o potrà.

Anche per questi ragazzi sarà così: sogni, mancanza di sogni, obiettivi, desideri, realtà e frustrazioni saranno lì per tutti, volenti o dolenti.

Il mio modulo comprendeva:

  • elementi basici basici di come si apre una partita IVA
  • elementi più corposi di che cosa vuol dire fare i freelance
  • basi solide di come si prepara un colloquio di lavoro e come si affronta
  • esercizi di cosa ci deve stare in un CV e come scriverlo
  • parte fortissima di motivazione sul come mi racconto in poche righe in modo da farmi ricordare 
  • elementi avanzati di come scrivo il mio profilo Linkedin e che cosa ci metto dentro
  • basi di come uso i social network per lavoro e di perché è meglio ripulirli da tutto ciò che potrebbe nuocermi dal punto di vista professionale.

Potevo fare tutto da sola? No! Non sono una tuttologa, anche se sono una freelance e su alcuni argomenti posso dire la mia. Allora mi sono affidata alle parole di chi certi argomenti li conosce molto bene e mai decisione fu più azzeccata.

4 cose che ho imparato di me dopo due settimane di Scuola Holden - Annamaria Anelli

Ecco le cose che ho imparato da questa esperienza, una dopo l’altra.

1. Ho una rete fortissima

Ho come amici grandi professionisti che hanno una buona (alcuni ottima!) presa, in video: dico questo perché li ho intervistati! Ma andiamo per gradi.

Cristiano Ferrari mi ha aiutata a individuare il programma giusto per registrare alcune telefonate skype e mi ha seguita mentre lo istallavo e durante le prove che abbiamo fatto fra di noi per preparare il tutto: io, di qua, stavo piantando un acero rosso, sei dipladenie, un rododendro, due clematis e reinvasando sei piantine di edera; lui, di là, seguiva i clienti e dava da mangiare alla figliola. Insomma, ci davamo appuntamenti precisi (che poi rispettavamo) e ne siamo venuti fuori benissimo in poche ore. Grazie Cristiano: ormai l’aperitivo è diventata una cena con i fiocchi.

Perché avevo bisogno di registrare alcune telefonate skype?

Perché volevo evitare di “accoppare” 130 ragazzi con una tonnellata di slide e volevo che certi concetti li sentissero direttamente dalla bocca, dagli occhi e dal cuore di chi li maneggia tutti i giorni.

Così ho chiesto la disponibilità a Carlotta Cabiati (cose da commercialista), Roberta Zantedeschi (colloquio e CV); Giorgio Minguzzi (Linkedin), Vanessa Vettorello (foto profilo) e Daniela Scapoli (social network).

2. Una consulenza si compra

Ognuno nel suo specifico è un professionista che ammiro e ho pensato che comprare una loro ora potesse essere per me un ottimo investimento. Sì, ho comprato. Ho messo subito in chiaro che non chiedevo favori: volevo un’ottima prestazione e l’ho ottenuta. Sono sicura di aver aiutato un manipolo di ragazzi a capire quanto è complesso e sfaccettato il mondo del lavoro, se ancora non lo sapevano, proprio grazie a questi amici.

Carlotta non l’ho registrata perché in quel momento non ci avevo ancora pensato: ma ho preso appunti e soprattutto l’ho segnalata come punto di riferimento. Vanessa si è rifiutata di farsi filmare (il panico da video!) e ha scritto una bella lettera ai ragazzi su che cosa significhi individuare il fotografo giusto; Daniela, Giorgio e Roberta, invece, li ho intervistati e registrati nel fine settimana del 25 aprile e ancora devo finire di ringraziarli per la loro disponibilità. Sono stata una rompicoglioni, e loro stupendi.

Anche Francesca Parviero mi ha dato una mano e per me è stata un modello inarrivabile di donna: io le prime due settimane dopo il parto piangevo, lei mandava link e dispensava consigli. Mitica.

3. Insegnare ai ragazzi è un’altra storia

Io ho sempre a che fare con gli adulti e con le logiche che si instaurano in ambiti in cui – nella stragrande maggioranza dei casi – ci sono professionisti di fronte a un’altra professionista.

Con i ragazzi ti devi guadagnare una certa dose di rispetto: devi far sentire quanto sei dentro le cose, non solo quanto ne sai. Loro aspettano di vedere la tua stoffa mentre parli, che cosa esce di te negli argomenti che affronti, come rispondi alle domande insidiose e se non li convinci ti ripagano con l’indifferenza.

Questo è un aspetto molto delicato, che mi ha chiesto una riconsiderazione di ciò che faccio e di come lo faccio. Ne sono uscita bene, molto, perché è il mio modo di coinvolgere che li ha coinvolti, è il mio modo di non risparmiarmi che non li ha fatti risparmiare.

Ma ho anche capito alcune cose su come la scuola (quella dell’istruzione obbligatoria soprattutto) preferisca studenti silenziosi e rispettosi, piuttosto che persone in fieri, con tutto il loro bagaglio di richieste, oltre che di doveri.

È più semplice verificare la conoscenza di un sapere che assecondare il desiderio di confronto – lo posso capire, perché risulta molto faticoso – ma, così, quello che viene a mancare è la possibilità di formarsi un’identità propria, anche solo per contrapposizione a un insegnante che la pensa diversamente.

4. Leggere i segnali del corpo non è facile

Soprattutto il primo giorno, poi ho preso le misure, mi sono scontrata con qualcosa di nuovo. Io quando sono in aula viaggio tra le postazioni guardando negli occhi le persone. Anche con i ragazzi ho fatto così, e ho raccolto occhi che rifuggivano il contatto.

L’ho presa male, non tanto per questioni di lesa maestà, ma perché il contatto oculare è per me una spia significativa di quanto i contenuti che propongo stiano entrando in profondità. A me l’ascolto silenzioso non piace: io voglio che le cose prendano la via “del dentro” ed eventualmente tornino fuori con tutte le domande possibili. Sono comunque segni di interesse. L’indifferenza non so da che parte prenderla.

Con questa esperienza alla Scuola Holden ho scoperto che uno sguardo sfuggente può essere anche solo ammissione di timidezza: le persone che non volevano esporsi in pubblico (quasi tutte), a fine lezione, hanno fatto la coda per chiedermi un parere e ce ne siamo andati via mezz’ora più tardi dell’orario stabilito. Loro con il mio interessamento, io con un pezzetto di felicità in tasca e il conseguente gelato gratificatorio (se qui non l’avete mai mangiato, andateci di corsa).

Alcuni invece hanno mantenuto bello aperto lo schermo del Mac: può essere stata, certo, una professione di fastidio o di non condivisione dei miei contenuti, ma anche un muro nei confronti del mondo in generale. Magari quel mondo che si fa fatica a cacciar via, visto che dopodomani finisce la scuola, e che non si vorrebbe entrasse dalla porta con tutte le sue richieste.

Ma il mondo entra lo stesso, cari ragazzi anche un po’ miei, e comunque ti pone domande e ti chiede azione. Perché è il mondo. E non smette mai.

Foto Antonia Galvagna

Scritto da Annamaria Anelli

Sono una business writer e aiuto le aziende a prendersi cura dei propri clienti, con la scrittura

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